Le Beatitudini, onestà e fedeltà alla parola data
«Uno degli errori facili nell’uomo è la mancanza di
onestà anche verso se stesso. E dato che l’uomo è difficilmente sincero e
onesto, ecco che da se stesso si è creato un morso per essere obbligato
ad andare per la via che ha detto. Morso che, del resto, egli, come
cavallo indomito, presto si sposta modificando a suo piacere l’andare, o
si leva del tutto facendo il suo comodo senza più riflessione a ciò che
può ricevere di rimprovero da Dio, dagli uomini e dalla sua propria
coscienza. Questo morso è il giuramento. Ma non è necessario il
giuramento fra gli onesti, e Dio, di suo, non ve lo ha insegnato. Anzi
vi ha fatto dire: “Non dire falso testimonio” senza altra aggiunta.
Perché l’uomo dovrebbe essere schietto senza bisogno di altro che della
fedeltà alla sua parola.
Quando nel Deuteronomio si parla dei
voti, anche dei voti che sono una cosa sorta da un cuore che si pensa
fuso a Dio o per sentimento di bisogno o per sentimento di riconoscenza,
è detto[13]:
“La parola uscita una volta dalle tue labbra la devi mantenere, facendo
quanto hai promesso al Signore Iddio tuo, quanto di tua volontà e di
tua bocca hai detto”. Sempre si par la di parola data, senza altro che
la parola.
Colui che sente il bisogno di giurare è perché è già
insicuro di se stesso e del concetto del prossimo a suo riguardo. E chi
fa giurare testifica con quell’esigenza che diffida della sincerità e
onestà del giurante. Come vedete, questa abitudine del giuramento è una
conseguenza della disonestà morale dell’uomo. Ed è una vergogna per
l’uomo. Doppia vergogna, perché l’uomo non è fedele neppure a questa
cosa vergognosa che è il giuramento e irridendosi di Dio, con la stessa
facilità con cui si irride del prossimo, giunge a spergiurare con la
massima facilità e tranquillità.
172.2 Vi
può essere creatura più abbietta dello spergiuro? Costui, usando
sovente una formola sacra, e chiamando perciò a suo complice e
mallevadore Iddio, o usando l’invocazione degli affetti più cari – il
padre, la madre, la moglie, i figli, i suoi morti, la sua stessa vita e i
suoi organi più preziosi, invocati ad appoggio del suo bugiardo dire –
induce il suo prossimo a credergli. Lo conduce perciò in inganno. È un
sacrilego, un ladro, un traditore, un omicida. Di chi? Ma di Dio, perché
mescola la Verità all’infamia della sua menzogna e lo sbeffeggia
sfidandolo: “Colpiscimi, smentiscimi, se puoi. Tu sei là, io son qua e
me ne rido”.
Oh! sì! Ridete, ridete pure, o mentitori e
beffeggiatori! Ma vi sarà un momento che non riderete, e sarà quando
Colui a cui ogni potere è deferito vi apparirà terribile nella sua
maestà e solo col suo aspetto vi farà atterriti e solo coi suoi sguardi
vi fulminerà, prima, prima ancora che la sua voce vi precipiti nel
vostro destino eterno marcandovi della sua maledizione.
È un
ladro perché si appropria di una stima che non merita. Il prossimo,
scosso dal suo giurare, gliela dona, e il serpente se ne orna fingendosi
ciò che non è. È un traditore perché col giuramento promette cose che
non vuole mantenere. È un omicida perché, o uccide l’onore di un suo
simile levandogli col falso giuramento la stima del prossimo, o uccide
la sua anima, perché lo spergiuro è un abbietto peccatore agli occhi di
Dio, i quali, anche se nessun altro vede la verità, la vedono. Dio non
si inganna né con false parole, né con ipocrite azioni. Egli vede. Non
perde per un attimo di vista ogni singolo uomo. E non vi è munita
fortezza, né profonda cantina, dove non possa penetrare il suo sguardo.
Anche nell’interno vostro, la fortezza singola che ogni uomo ha intorno
al suo cuore, penetra Iddio. E vi giudica non per quello che giurate ma
per quello che fate.
172.3 Perciò Io, all’ordine[14]
che vi fu dato, quando fu messo in auge il giuramento per mettere freno
alla menzogna e alla facilità di mancare alla parola data, sostituisco
un altro ordine. Non dico come gli antichi: “Non spergiurare, ma anzi
mantieni i tuoi giuramenti”, ma vi dico: “Non giurate mai”. Né per il
Cielo che è trono di Dio, né per la Terra che è sgabello ai suoi piedi,
né per Gerusalemme e il suo Tempio che sono la città del gran Re e la
casa del Signore Iddio nostro.
Non giurate né sulle tombe dei
trapassati né sui loro spiriti. Le tombe sono piene di scorie di ciò che
è inferiore nell’uomo e comune col bruto, gli spiriti lasciateli nella
loro dimora. Fate che non soffrano e inorridiscano, se spiriti di giusti
che già sono nella precognizione di Dio. E per quanto sia una
precognizione, ossia cognizione parziale, perché fino al momento della
Redenzione non possederanno Dio nella sua pienezza di splendori, non
possono non soffrire del vedervi peccatori. E, se giusti non sono, non
aumentate il loro tormento dall’aver ricordato col vostro il loro
peccato. Lasciate, lasciate i morti santi nella pace, i morti non santi
nelle loro pene. Non levate ai primi, non aggiungete ai secondi. Perché
appellarsi ai morti? Non possono parlare. I santi perché la carità loro
lo vieta: vi dovrebbero smentire troppe volte. I dannati perché
l’Inferno non apre le sue porte e i dannati non aprono le bocche che per
maledire, e ogni voce resta soffocata dall’odio di Satana e dei satana,
perché i dannati satana sono.
Non giurate né sul capo del padre
né su quello della madre, né su quello della sposa e degli innocenti
figli. Non ne avete diritto. Sono forse una moneta o una merce? Sono una
firma su una carta? Sono più e meno di queste cose. Sono sangue e carne
del tuo sangue, uomo, ma sono anche creature libere e tu non le puoi
usare come schiave per avallo di un tuo falso. E sono meno di una firma
tua propria, perché tu sei intelligente, libero e adulto, e non un
interdetto o un pargolo che non sa quello che si fa e che perciò deve
essere rappresentato dai parenti. Tu sei tu, un uomo dotato di ragione, e
perciò sei responsabile delle tue azioni e devi agire da te, mettendo
ad avallo delle tue azioni e delle tue parole la tua onestà e la tua sincerità, la stima che hai saputo suscitare tu
nel prossimo, non l’onestà, la sincerità dei parenti e la stima che
essi hanno saputo suscitare. Sono responsabili i padri dei figli? Sì, ma
finché sono minorenni. Dopo, ognuno è responsabile di se stesso. Non
sempre da giusti nascono giusti, né una santa donna è coniugata ad un
santo uomo. Perché allora usare per base di garanzia la giustizia di chi
vi è congiunto? Ugualmente, da un peccatore possono nascere figli santi
e, finché innocenti sono, tutti sono santi. Perché allora invocare un
puro per un vostro atto impuro quale è il giuramento che si vuole poi
spergiurare?
Non giurate neppure per la vostra testa, i vostri
occhi, e lingua e mani. Non ne avete diritto. Tutto quanto avete è di
Dio. Voi non ne siete che i temporanei custodi, i banchieri dei tesori
morali o materiali che Dio vi ha concessi. Perché usare allora di ciò
che non è vostro? Potete voi aggiungere un capello al vostro capo o
mutarne il colore? E se non potete fare questo, perché allora usate la
vista, la parola, la libertà delle membra, per convalidare un vostro
giuramento? Non sfidate Dio. Potrebbe prendervi in parola e seccare i
vostri occhi come può seccare i vostri frutteti, o strapparvi i figli
come può svellervi la casa, per ricordarvi che Lui è il Signore e voi i
sudditi, e che è maledetto chi si idolatra al punto da ritenersi da più
di Dio sfidandolo con la menzogna.
172.4 Il
vostro parlare sia: sì, sì; e no, no. Non di più. Il di più ve lo
suggerisce il Maligno, e per ridere poi di voi che, non potendo tutto
ritenere, cadete in menzogna e siete sbeffeggiati e conosciuti per
mentitori.
Sincerità, figli. Nella parola e nella preghiera. Non
fate come gli ipocriti che quando pregano amano stare a pregare nelle
sinagoghe o sugli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini e
lodati come uomini pii e giusti mentre poi, nell’interno delle famiglie,
sono colpevoli verso Dio e verso il prossimo. Non riflettete che questo
è come uno spergiuro? Perché voi volete sostenere ciò che vero non è
allo scopo di conquistarvi una stima che non meritate? La orazione
ipocrita ha lo scopo di dire: “In verità io sono un santo. Lo giuro agli
occhi di chi mi vede e che non possono mentire di vedermi pregare”.
Velo steso sulla malvagità esistente, la preghiera fatta con simili
scopi diviene una bestemmia.
Lasciate che Dio vi proclami santi, e
fate che tutta la vostra vita gridi per voi: “Ecco un servo di Dio”. Ma
voi, ma voi, per carità di voi, tacete. Non fate della vostra lingua,
mossa dalla vostra superbia, un oggetto di scandalo agli occhi degli
angeli. Meglio sarebbe diveniste sull’istante muti, se non avete la
forza di comandare all’orgoglio e alla lingua autoproclamandovi giusti e
gradevoli a Dio. Lasciate ai superbi e ai falsi questa povera gloria!
Lasciate ai superbi e ai falsi questa effimera ricompensa. Povera
ricompensa! Ma è quale la vogliono, e non ne avranno altra perché più di
una non se ne può avere. O quella vera, del Cielo, e che è eterna e
giusta. O quella non vera, della Terra, che dura quanto la vita
dell’uomo e anche meno e che poi, essendo ingiusta, è pagata, oltre la
vita, con una ben mortificante punizione.
172.5 Udite
come dovete pregare e col labbro e col lavoro e con tutto voi stessi,
per impulso del cuore che ama, sì, Dio, e Padre lo sente, ma che anche
sempre ricorda chi è il Creatore e che è la creatura, e sta con amore
riverenziale al cospetto di Dio, sempre, sia che òri o che traffichi,
sia che cammini o che riposi, sia che guadagni o che benefichi.
Per impulso del cuore, ho detto. È la prima ed essenziale qualità.
Perché tutto viene dal cuore, e come è il cuore tale è la mente, tale la
parola, lo sguardo, l’azione. L’uomo giusto dal suo cuore di giusto
trae fuori il bene, e più ne trae più ne trova, perché il bene fatto
procrea novello bene, così come il sangue che si rinnovella nel circolo
delle vene e torna al cuore arricchito di sempre nuovi elementi, tratti
dall’ossigeno che ha assorbito e dal succo dei cibi che ha assimilato.
Mentre il perverso dal suo buio cuore pieno di frode e di veleni non può
che trarre frode e veleno, che sempre più si accrescono, corroborati
come sono dalle colpe che si accumulano, come nel buono dalle
benedizioni di Dio che si accumulano. Credete pure che è l’esuberanza
del cuore quella che trabocca dalle labbra e si rivela nelle azioni.
Voi fatevi un cuore umile e puro, amoroso, fiducioso, sincero; amate
Dio col pudico amore che ha una vergine per lo sposo. In verità vi dico
che ogni anima è una vergine sposata all’eterno Amatore, a Dio Signor
nostro; questa Terra è il tempo del fidanzamento nel quale l’angelo dato
a custode di ogni uomo è lo spirituale paraninfo, e tutte le ore della
vita e le contingenze della vita altrettante ancelle che preparano il
corredo nuziale. L’ora della morte è l’ora delle nozze compiute e allora
viene la conoscenza, l’abbraccio, la fusione, e con veste di sposa
compiuta l’anima può alzare il suo velo e gettarsi nelle braccia del suo
Dio senza che per amare così lo Sposo possa indurre altri allo
scandalo.
Ma per ora, o anime ancora sacrificate nel laccio del
fidanzamento con Dio, quando volete parlare allo Sposo, mettetevi nella
pace della vostra dimora, e soprattutto nella pace della vostra dimora
interiore, e parlate, angelo di carne fiancheggiato dall’angelo custode,
al Re degli angeli. Parlate al Padre vostro nel segreto del vostro
cuore e della vostra stanza interiore. Lasciate fuori tutto quanto è
mondo: e la smania di essere notati e quella di edificare, e gli
scrupoli delle lunghe preghiere colme di parole, parole, parole e
monotone, e tiepide e scialbe d’amore.
172.6 Per
carità! Liberatevi dalle misure nel pregare. In verità vi sono alcuni
che sprecano più e più ore in un monologo ripetuto con le labbra sole, e
che è un vero soliloquio perché neppur l’angelo custode lo ascolta,
tanto è rumore vano che egli cerca di rimediare sprofondandosi di suo in
ardente orazione per il suo stolto custodito. In verità vi sono alcuni
che non userebbero quelle ore diversamente neppure se Dio apparisse loro
dicendo: “La salute del mondo dipende dal tuo lasciare questa loquela
senz’anima per andare, magari, semplicemente ad attingere dell’acqua ad
un pozzo ed a spargere quell’acqua al suolo per amore di Me e dei tuoi
simili”. In verità vi sono alcuni che credono più grande il loro
monologo all’atto cortese di accogliere un visitatore o a quello
caritativo di soccorrere un bisognoso. Sono animi caduti nell’idolatria
della preghiera.
La preghiera è azione d’amore. E amare si può
tanto orando che facendo il pane, tanto meditando che assistendo un
infermo, tanto compiendo pellegrinaggio al Tempio che accudendo alla
famiglia, tanto sacrificando un agnello quanto sacrificando i nostri
anche giusti desideri di raccogliersi nel Signore. Basta che uno intrida
tutto se stesso e ogni sua azione nell’amore. Non abbiate paura! Il
Padre vede. Il Padre comprende. Il Padre ascolta. Il Padre concede.
Quante grazie non sono date anche per un solo, vero, perfetto sospiro
d’amore! Quanta abbondanza per un sacrificio intimo fatto con amore. Non
siate simili ai gentili. Dio non ha bisogno che gli diciate ciò che
deve fare perché voi ne abbisognate. Ciò possono dirlo i pagani ai loro
idoli che non possono intendere. Non voi a Dio, al vero, spirituale
Iddio che non è solo Dio e Re, ma è Padre vostro e sa, prima ancora che
voi glielo chiediate, di che avete bisogno.
172.7 Chiedete
e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché
chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e verrà aperto a chi picchia.
Quando un figlio vostro vi tende la manina dicendovi: “Padre, ho fame”,
gli date forse un sasso? Gli date un serpente se vi chiede un pesce? No,
anzi che date pane e pesce, ma inoltre date carezza e benedizione,
perché è dolce ad un padre nutrire la sua creatura e vederne il sorriso
felice. Se dunque voi di imperfetto cuore sapete dare buoni doni ai
vostri figli solo per l’amore naturale, comune anche all’animale verso
la prole, quanto più il Padre vostro che è nei Cieli concederà a coloro
che gliele chiedono le cose buone e necessarie al loro bene. Non abbiate
paura di chiedere e non abbiate paura di non ottenere!
Però
(ecco che Io vi metto in guardia contro un facile errore) però non fate
come i deboli nella fede e nell’amore, i pagani della religione vera –
perché anche fra i credenti vi sono pagani la cui povera religione è un
groviglio di superstizioni e di fede, un manomesso edificio in cui si
sono infiltrate erbe parassitarie d’ogni specie, al punto che esso si
sgretola e cade in rovina – i quali, deboli e pagani, sentono morire la
fede se non si vedono esauditi.
Voi chiedete. E vi pare giusto di
chiedere. Infatti per quel momento non sarebbe neanche ingiusta quella
grazia. Ma la vita non termina in quel momento. E ciò che è bene oggi può essere non
bene domani. Voi questo non lo sapete, perché voi sapete solo il
presente, ed è una grazia di Dio anche questa. Ma Dio conosce anche il
futuro. E molte volte per risparmiarvi una pena maggiore vi lascia non
esaudita una preghiera.
Nel mio anno di vita pubblica più di una
volta ho sentito dei cuori gemere: “Quanto ho sofferto allora, quando
Dio non mi ha ascoltato. Ma ora dico: ‘Fu bene così perché quella grazia
mi avrebbe impedito di giungere a quest’ora di Dio’”. Altri ho sentito
dire e dirmi: “Perché, Signore, non mi esaudisci? A tutti lo fai, e a me
no?”. E pure, avendo dolore di veder soffrire, ho dovuto dire: “Non
posso”, perché l’esaudirli avrebbe voluto dire mettere un intralcio al
loro volo alla vita perfetta. Anche il Padre delle volte dice: “Non
posso”. Non perché non possa compiere l’atto immediato. Ma perché non lo
vuole compiere per conoscenza delle conseguenze future.
Udite.
Un bambino è malato alle viscere. La madre chiama il medico e il medico
dice: “Per guarire occorre digiuno assoluto”. Il bambino piange,
strilla, supplica, pare languire. La madre, pietosa sempre, unisce i
suoi lamenti a quelli del figlio. Le pare durezza del medico quel
divieto assoluto. Le pare che possa nuocere al figlio quel digiuno e
quel pianto. Ma il medico resta inesorabile. Infine dice: “Donna, io so,
tu non sai. Vuoi perdere tuo figlio o vuoi che io te lo salvi?”. La
madre urla: “Voglio che egli viva!”. “E allora”, dice il medico, “io non
posso concedere cibo. Sarebbe la morte”. Anche il Padre dice così,
delle volte. Voi, madri pietose del vostro io,
non lo volete sentire piangere per negata grazia. Ma Dio dice: “Non
posso. Sarebbe il tuo male”. Viene il giorno, o viene l’eternità, in cui
si giunge a dire: “Grazie, mio Dio, di non avere ascoltato la mia
stoltezza!”.
172.8 Quanto
ho detto per l’orazione dico per il digiuno. Quando digiunate non
prendete un’aria melanconica come usano gli ipocriti, che ad arte si
sfigurano la faccia acciò il mondo sappia e creda, anche se vero non è,
che essi digiunano. Anche essi hanno già avuto, con la lode del mondo,
la loro mercede e non ne avranno altra. Ma voi, quando digiunate,
prendete un’aria lieta, lavatevi a più acque il volto perché appaia
fresco e liscio, ungetevi la barba e profumatevi le chiome, abbiate il
sorriso del ben pasciuto sulle labbra. Oh! che in verità non vi è cibo
che pasca quanto l’amore! E chi fa digiuno con spirito d’amore, di amore
si nutre! In verità vi dico che se anche il mondo vi dirà “vanitosi” e
“pubblicani”, il Padre vostro vedrà il vostro segreto eroico e ve ne
darà doppia ricompensa. E per il digiuno, e per il sacrificio di non
essere lodati per esso.
Ed ora andate a dare cibo al corpo dopo che l’anima fu nutrita.
172.9 Quei due poverelli restino con noi. Saranno gli ospiti benedetti che daranno sapore al nostro pane. La pace sia con voi».
E i due poverelli restano. Sono una donna molto scarna e un vecchio
molto vecchio. Ma non sono insieme. Il caso li ha riuniti, ed erano
rimasti in un angolo avviliti, tendendo inutilmente la mano a quelli che
passavano loro davanti.
Gesù va direttamente verso di loro che
non osano venire avanti e li prende per mano portandoli al centro del
gruppo dei discepoli, sotto una specie di tenda che Pietro ha drizzato
in un angolo e sotto la quale forse si ricoverano nella notte e si
riuniscono di giorno nelle ore più calde. È una tettoia di frasche e di…
mantelli. Ma serve allo scopo per quanto sia così bassa che Gesù e
l’Iscariota, i due più alti, si debbano abbassare per entrarvi.
«Ecco il padre ed ecco una sorella. Portate quanto abbiamo.
Mentre prendiamo il cibo udremo la loro storia». E personalmente
Gesù serve i due vergognosi e ne ascolta la lamentosa narrazione. Solo
il vecchio, dopo che la figlia è andata lontano col marito e si è
dimenticata del padre. Sola la donna, dopo che la febbre le ha ucciso il
marito, ed è malata per giunta.
«Il mondo ci sprezza perché poveri siamo», dice il vecchio.
«Io vado elemosinando per raggranellare di che compiere la Pasqua.
Ho ottant’anni. Ho sempre fatto Pasqua e può essere l’ultima questa. Ma
non voglio andare in seno ad Abramo con nessun rimorso. Come perdono
alla figlia così spero essere perdonato. E voglio fare la mia Pasqua».
«Lunga è la via, padre».
«Più lunga è quella del Cielo, se si manca al rito».
«Vai solo? Se ti senti male per via?».
«Mi chiuderà le palpebre l’angelo di Dio».
Gesù lo carezza sulla testa tremula e bianca e chiede alla donna: «E tu?».
«Io vado cercando lavoro. Se fossi più pasciuta guarirei dalle febbri. E se fossi guarita potrei lavorare anche ai grani».
«Credi che solo il cibo ti guarirebbe?».
«No. Ci sei anche Tu… Ma io sono una povera cosa, una troppo povera cosa per poter chiedere pietà».
«E se ti guarissi, che vorresti dopo?».
«Nulla più. Avrei avuto già ben più di quanto possa sperare».
Gesù sorride e le dà un pezzo di pane intinto in un poco di acqua e
aceto che fa da bevanda. La donna lo mangia senza parlare e Gesù
continua a sorridere.
172.10 Il
pasto cessa presto. Era così parco! Apostoli e discepoli vanno in cerca
d’ombra per le pendici, fra i cespugli. Gesù resta sotto la tenda. Il
vecchione si è messo contro la parete erbosa e dorme stanco.
Dopo
un poco la donna, che pure si era allontanata cercando ombra e riposo,
viene verso Gesù che le sorride per rincuorarla. Lei viene avanti timida
e pure lieta, fin quando quasi è presso la tenda, e poi la vince la
gioia e fa gli ultimi passi velocemente, cadendo bocconi con un grido
soffocato: «Tu mi hai guarita! Benedetto! È l’ora del grande brivido ed
io non l’ho più… Oh!», e bacia i piedi di Gesù.
«Sei sicura di essere guarita? Io non te l’ho detto. Potrebbe essere un caso…».
«Oh! no! Ora ho compreso il tuo sorriso nel darmi quel pane. La tua
virtù è entrata in me con quel boccone. Io non ho nulla da ricambiarti
fuorché il mio cuore. Comanda alla tua serva, Signore, ed ella ti
ubbidirà fino alla morte».
«Sì. Vedi quel vecchio? È solo ed è un
giusto. Tu avevi un marito e te lo levò la morte. Egli aveva una figlia
e gliela levò l’egoismo. È peggio. Eppure non impreca. Ma non è giusto
che vada solo nelle sue ultime ore. Siigli figlia».
«Sì, mio Signore».
«Ma guarda che vuol dire lavorare per due».
«Sono forte, ora, e lo farò».
La donna va sollecita e torna con Simone Zelote.
«Vieni, Simone. Ti devo parlare. Attendi, donna». Gesù si allontana qualche metro.
«Pensi che Lazzaro avrebbe difficoltà ad accogliere una lavoratrice di più?».
«Lazzaro? Ma io credo che non sappia neppure quanti sono i suoi servi! Uno più, uno meno!… Ma chi è?».
«Quella donna. L’ho guarita e…».
«Basta, Maestro. Se Tu l’hai sanata è segno che l’ami. Ciò che Tu ami è sacro a Lazzaro. Mi impegno per lui».
«È vero. Ciò che Io amo è sacro a Lazzaro. Hai detto bene. E per questo Lazzaro diventerà santo, perché amando ciò che Io amo amerà la perfezione. Voglio unire quel vecchio a quella donna e far fare l’ultima sua Pasqua in letizia a quel patriarca. Voglio molto bene Io ai vecchi santi, e se posso dar loro tramonto sereno sono felice».
«Vuoi bene anche ai bambini…».
«Sì, e ai malati…».
«E a quelli che piangono…».
«E a quelli che sono soli…».
«Oh! mio Maestro! Ma non ti accorgi di volere bene a tutti?
Anche ai tuoi nemici?».
«Non me ne accorgo, Simone. Amare è la mia natura. Ecco che il patriarca si sveglia. Andiamo a dirgli che farà la Pasqua con una figlia vicino e senza più bisogno del pane».
Tornano alla tenda dove la donna li attende e vanno tutti e tre dal vecchio che si è seduto e si riallaccia i sandali.
«Che fai, padre?».
«Scendo a valle. Spero trovare un ricovero per la notte, e domani mendicherò sulla via, e poi giù, giù, giù, fra un mese, se non muoio, sarò al Tempio».
«No».
«Non devo? Perché?».
«Perché il buon Dio non vuole. Non andrai solo. Questa verrà con te. Ti condurrà dove Io dirò e sarete accolti per amor mio. Farai la tua Pasqua, ma senza fatica. La tua croce l’hai già portata, padre. Posala adesso. E raccogliti solo in orazione di grazie al buon Dio».
«Ma perché… ma perché… io… io non merito tanto… Tu… una figlia… Più che se mi donassi vent’anni… E dove, dove mi mandi?…». Il vecchio piange fra il cespuglio del suo barbone.
«Da Lazzaro di Teofilo. Non so se lo conosci».
«Oh!… io sono dei confini della Siria e ricordo Teofilo.
Ma… ma… oh! Figlio benedetto di Dio, lascia che io ti benedica!».
E Gesù, seduto come è sull’erba, di fronte al vecchione, veramente si curva per lasciare che lo stesso gli imponga, solenne, le mani sul capo, tuonando, con la sua voce cavernosa di vegliardo, l’antica benedizione[15]: «Il Signore ti benedica e custodisca. Il Signore ti mostri la sua faccia e abbia di te misericordia. Il Signore volga a te il suo volto e ti dia la sua pace».
E Gesù, Simone e la donna rispondono insieme: «E così sia».
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